Digiunare
è inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo
ritorno, nella consapevolezza che proprio la perseveranza nella carità -
innanzi tutto l'annuncio del Vangelo in ogni tempo e luogo - è l'unica via per
affrettare la sua venuta: nella fornace del mondo, infatti, siamo chiamati a
vivere "nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di
Dio" (2 Pt. 3,12). Il digiuno manifesta così quella sorta di santa tristezza che
giace spesso nascosta nel cuore. Sfuggirla significa chiudersi alla verità e
consegnare la vita ad un fallimento certo. Il digiuno ci aiuta a riconoscere la
tristezza secondo Dio, quella per i nostri peccati e per non poter vedere già il
trionfo del Signore nel mondo, "come strumento significativo del disegno
di Dio, per cui la vita sia sempre, in qualsiasi caso soggetta alla percezione
di qualcosa che manca.
Il digiuno è il
nostro maranathà, le
lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il
digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per
portarci con Lui, al posto che ha preparato per noi. Presentando il calice
nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del
frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc
14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare
nell’attesa del suo ritorno, dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap
19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù. Un digiuno
che è una promessa, un appuntamento d'amore, l'attesa di bere con Lui il
vino nuovo del Regno di Dio. Le sofferenze, la precarietà, le malattie, i
fallimenti, le proprie debolezze sono il digiuno d'ogni giorno vissuto come una
missione, perché la Croce è il digiuno più autentico, sigillato
nella libertà di chi consegna la sua carne senza sperare nessun altro guadagno
che Cristo. Quando siamo incastrati sul legno della Croce il digiuno si
fa naturale: non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da
qualsiasi cosa che ci separi da Cristo, è un'esigenza. Sulla Croce, infatti,
muoversi anche solo un pochino produceva dolori lancinanti; per questo sulla
Croce si digiuna da tutto, per essere in tutto uniti a Cristo che ha portato
nella sua carne i dolori che sarebbero spettati a noi: niente giudizi, niente
mormorazioni, nessuna invidia, nessun peccato di morte, nessun movimento
innaturale della carne (questo è, in definitiva, il peccato), solo un
infinito e totale abbandono a Cristo, che il digiuno ci aiuta a compiere. Esso,
dunque, è come un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore
Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". E'
questa l'ascesi, l'ascesa al trono di misericordia
che sappiamo non deludere mai. Essa comporta, paradossalmente, un cammino in
discesa, simile a quello percorso dai catecumeni della Chiesa primitiva per
arrivare a immergersi nelle acque del battesimo: digiunare significa, infatti,
spogliarci dell'uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni e le esigenze
della carne, per immergerci nella misericordia di Dio che perdona ogni peccato,
e rivestirci dell'uomo nuovo, creato a immagine dello Sposo, a Lui vincolato in
un amore incorruttibile. Digiunare in Quaresima è lasciare che la verità prenda
il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, mentre la fame che il
digiuno suscita ci fa consapevoli della nostra realtà, nella quale il Corpo
benedetto e risorto del Signore è l'unico vero cibo capace di
saziarci. Digiunare è crocifiggere la carne perché sia strappata alla
menzogna e messa al servizio della giustizia; per questo proprio il
digiuno è la condizione naturale della carne, in contraddizione con la
mentalità del mondo che invece la vuole strumento e veicolo di ogni
soddisfazione dei sensi. Digiunando si vive secondo la volontà di Dio, quali
creature bisognose del suo Spirito Santo, nel quale offrire a Lui carne, mente
e cuore perché compiano le opere buone preparate per noi. Digiunare come una
vergine appena accolta dallo Sposo, in attesa d'essere una sola carne redenta
con Cristo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, il non ancora che
ci attira e colma di speranza e allegria, perché il Signore ci ha assicurato e
detto "Io vengo presto, tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno
ti tolga la tua corona” (Ap. 3,11).
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