venerdì 15 febbraio 2013

Quaresima di digiuno in attesa dello Sposo

Digiunare è inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno, nella consapevolezza che proprio la perseveranza nella carità - innanzi tutto l'annuncio del Vangelo in ogni tempo e luogo - è l'unica via per affrettare la sua venuta: nella fornace del mondo, infatti, siamo chiamati a vivere "nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio" (2 Pt. 3,12). Il digiuno manifesta così quella sorta di santa tristezza che giace spesso nascosta nel cuore. Sfuggirla significa chiudersi alla verità e consegnare la vita ad un fallimento certo. Il digiuno ci aiuta a riconoscere la tristezza secondo Dio, quella per i nostri peccati e per non poter vedere già il trionfo del Signore nel mondo, "come strumento significativo del disegno di Dio, per cui la vita sia sempre, in qualsiasi caso soggetta alla percezione di qualcosa che manca.
Il digiuno è il nostro maranathà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per portarci con Lui, al posto che ha preparato per noi. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù. Un digiuno che è una promessa, un appuntamento d'amore, l'attesa di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio. Le sofferenze, la precarietà, le malattie, i fallimenti, le proprie debolezze sono il digiuno d'ogni giorno vissuto come una missione, perché la Croce è il digiuno più autentico, sigillato nella libertà di chi consegna la sua carne senza sperare nessun altro guadagno che Cristo. Quando siamo incastrati sul legno della Croce il digiuno si fa naturale: non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualsiasi cosa che ci separi da Cristo, è un'esigenza. Sulla Croce, infatti, muoversi anche solo un pochino produceva dolori lancinanti; per questo sulla Croce si digiuna da tutto, per essere in tutto uniti a Cristo che ha portato nella sua carne i dolori che sarebbero spettati a noi: niente giudizi, niente mormorazioni, nessuna invidia, nessun peccato di morte, nessun movimento innaturale della carne (questo è, in definitiva, il peccato), solo un infinito e totale abbandono a Cristo, che il digiuno ci aiuta a compiere. Esso, dunque, è come un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". E' questa l'ascesil'ascesa al trono di misericordia che sappiamo non deludere mai. Essa comporta, paradossalmente, un cammino in discesa, simile a quello percorso dai catecumeni della Chiesa primitiva per arrivare a immergersi nelle acque del battesimo: digiunare significa, infatti, spogliarci dell'uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni e le esigenze della carne, per immergerci nella misericordia di Dio che perdona ogni peccato, e rivestirci dell'uomo nuovo, creato a immagine dello Sposo, a Lui vincolato in un amore incorruttibile. Digiunare in Quaresima è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, mentre la fame che il digiuno suscita ci fa consapevoli della nostra realtà, nella quale il Corpo benedetto e risorto del Signore è l'unico vero cibo capace di saziarci. Digiunare è crocifiggere la carne perché sia strappata alla menzogna e messa al servizio della giustizia; per questo proprio il digiuno è la condizione naturale della carne, in contraddizione con la mentalità del mondo che invece la vuole strumento e veicolo di ogni soddisfazione dei sensi. Digiunando si vive secondo la volontà di Dio, quali creature bisognose del suo Spirito Santo, nel quale offrire a Lui carne, mente e cuore perché compiano le opere buone preparate per noi. Digiunare come una vergine appena accolta dallo Sposo, in attesa d'essere una sola carne redenta con Cristo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, il non ancora che ci attira e colma di speranza e allegria, perché il Signore ci ha assicurato e detto "Io vengo presto, tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona” (Ap. 3,11).




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