giovedì 28 febbraio 2013

Apocalisse 6,12-17


Il sesto sigillo
12E vidi, quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue, 13le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi. 14Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. 15Allora i re della terra e i grandi, i comandanti, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; 16e dicevano ai monti e alle rupi:»Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, 17perché è venuto il grande giorno della loro ira, e chi può resistervi?».

 v. 12 E vidi, quando l'Agnello aprì il sesto sigillo,
L’apertura del sesto sigillo dà luogo alla visione del gran giorno dell’ira, del v. 17, che si svilupperà anche nel capitolo seguente. Qui si apre con la prima delle sette immagini di sconvolgimenti cosmici di genere apocalittico che troviamo sia nell’A.T. sia nei Vangeli nei discorsi escatologici di Gesù. La catastrofe che si delinea in questi versetti annuncia l’intervento salvifico e risolutivo di Dio. Il suo intervento fa crollare il sistema terrestre mettendo l’uomo allo scoperto, davanti al suo peccato.
e vi fu un violento terremoto: Il violento terremoto è segno dello scuotimento di tutta la realtà materiale e quindi annuncia un forte ravvedimento per ogni uomo attaccato ai beni della terra. Con questo terremoto, nemmeno il cielo, il firmamento potrà servire all’uomo per orientarsi perché si arrotolerà come una pergamena.
Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue: Questo passo ricalca altri passi dell’A.T.  Is. 13,10 e  Gioele 3,4 poi ripresi da Gesù e nel discorso di Pietro sull’effusione dello Spirito. Di questo evento astronomico non vengono specificate le cause, si descrive soltanto l’impressione che ne avranno gli abitanti della terra.

v. 13 le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi: la caduta delle stelle in riferimento agli altri passi biblici simboleggia la caduta degli angeli ribelli che decadono dal loro stato originario poiché non hanno raggiunto quella maturità richiesta da Dio.

v. 14 Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto: Questa immagine si comprende se si pensa che Dio aveva disteso la volta celeste come un rotolo. Quando Dio la lacera, i lembi di essa si riavvolgono e in quest’occasione le stelle cadono sulla terra. Il sisma dei monti e delle isole è dovuto dallo sconvolgimento cosmico, (cfr. anche 16,20).

v. 15 Allora i re della terra e i grandi, i comandanti, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti:  I nemici di Dio sono enumerati in sette categorie, di cui cinque sono potenti. Essi sono costretti a rifugiarsi in luoghi protetti a causa dello spavento universale.

v. 16 e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi: Questo testo lo ritroviamo nel racconto della passione (Lc 23,30).
e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul  trono e dall'ira dell'Agnello:
L’ira dell’Agnello è la grande reazione di Cristo alle persecuzioni dei cristiani. L’ira designa la sua capacità di distruggere il male attraverso l’atteggiamento della vittima (agnello) che sulla croce annienta il peccato. Davanti alla morte redentrice di Cristo, che non elimina i peccatori ma li salva, l’uomo prepotente si vergogna e riconosce la propria impotenza.

v. 17 perché è venuto il grande giorno della loro ira: Il grande giorno della loro ira  (di Dio e dell’Agnello) che troviamo spesso anche nei profeti come giorno grande e terribile, designa l’intervento di Dio nella storia per colpire il male e gli empi; da distinguerlo dal giorno del giudizio universale che opererà il giudizio eterno per la vita nell’aldilà. Quindi il giorno dell’ira dell’Agnello è l’intervento conclusivo con cui Dio distrugge per sempre il male morale e potenzia il bene definitivamente.
e chi può resistervi? Andrebbe tradotto chi può stare in piedi? Questo stare in piedi si riferisce alla posizione attiva e vitale che caratterizza il Cristo Risorto. Mentre la struttura terrestre crolla, Egli è l’unico che può “stare”e comunicare a noi la sua condizione di Risorto. Infatti, nessuno ha la forza di conservare l’esistenza indipendentemente da Dio.





venerdì 15 febbraio 2013

Quaresima di digiuno in attesa dello Sposo

Digiunare è inginocchiarsi dinanzi al Crocifisso e implorare il suo ritorno, nella consapevolezza che proprio la perseveranza nella carità - innanzi tutto l'annuncio del Vangelo in ogni tempo e luogo - è l'unica via per affrettare la sua venuta: nella fornace del mondo, infatti, siamo chiamati a vivere "nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio" (2 Pt. 3,12). Il digiuno manifesta così quella sorta di santa tristezza che giace spesso nascosta nel cuore. Sfuggirla significa chiudersi alla verità e consegnare la vita ad un fallimento certo. Il digiuno ci aiuta a riconoscere la tristezza secondo Dio, quella per i nostri peccati e per non poter vedere già il trionfo del Signore nel mondo, "come strumento significativo del disegno di Dio, per cui la vita sia sempre, in qualsiasi caso soggetta alla percezione di qualcosa che manca.
Il digiuno è il nostro maranathà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perché lo Sposo torni presto per portarci con Lui, al posto che ha preparato per noi. Presentando il calice nell’ultima cena, Gesù ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno, dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così a quello di Gesù. Un digiuno che è una promessa, un appuntamento d'amore, l'attesa di bere con Lui il vino nuovo del Regno di Dio. Le sofferenze, la precarietà, le malattie, i fallimenti, le proprie debolezze sono il digiuno d'ogni giorno vissuto come una missione, perché la Croce è il digiuno più autentico, sigillato nella libertà di chi consegna la sua carne senza sperare nessun altro guadagno che Cristo. Quando siamo incastrati sul legno della Croce il digiuno si fa naturale: non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualsiasi cosa che ci separi da Cristo, è un'esigenza. Sulla Croce, infatti, muoversi anche solo un pochino produceva dolori lancinanti; per questo sulla Croce si digiuna da tutto, per essere in tutto uniti a Cristo che ha portato nella sua carne i dolori che sarebbero spettati a noi: niente giudizi, niente mormorazioni, nessuna invidia, nessun peccato di morte, nessun movimento innaturale della carne (questo è, in definitiva, il peccato), solo un infinito e totale abbandono a Cristo, che il digiuno ci aiuta a compiere. Esso, dunque, è come un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". E' questa l'ascesil'ascesa al trono di misericordia che sappiamo non deludere mai. Essa comporta, paradossalmente, un cammino in discesa, simile a quello percorso dai catecumeni della Chiesa primitiva per arrivare a immergersi nelle acque del battesimo: digiunare significa, infatti, spogliarci dell'uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni e le esigenze della carne, per immergerci nella misericordia di Dio che perdona ogni peccato, e rivestirci dell'uomo nuovo, creato a immagine dello Sposo, a Lui vincolato in un amore incorruttibile. Digiunare in Quaresima è lasciare che la verità prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni, mentre la fame che il digiuno suscita ci fa consapevoli della nostra realtà, nella quale il Corpo benedetto e risorto del Signore è l'unico vero cibo capace di saziarci. Digiunare è crocifiggere la carne perché sia strappata alla menzogna e messa al servizio della giustizia; per questo proprio il digiuno è la condizione naturale della carne, in contraddizione con la mentalità del mondo che invece la vuole strumento e veicolo di ogni soddisfazione dei sensi. Digiunando si vive secondo la volontà di Dio, quali creature bisognose del suo Spirito Santo, nel quale offrire a Lui carne, mente e cuore perché compiano le opere buone preparate per noi. Digiunare come una vergine appena accolta dallo Sposo, in attesa d'essere una sola carne redenta con Cristo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, il non ancora che ci attira e colma di speranza e allegria, perché il Signore ci ha assicurato e detto "Io vengo presto, tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona” (Ap. 3,11).




giovedì 14 febbraio 2013

Apocalisse 6,1-11


Apertura dei primi quattro sigilli
1 E vidi, quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: «Vieni». 2E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora.
3Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che diceva: «Vieni».4Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada.
5Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d'orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati».
7Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.

v. 1 E vidi, quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: «Vieni».
 I primi quattro sigilli propone la scena dei quattro cavalli colorati ispirati dal profeta Zaccaria (cfr. 1,8-11; 6,1-6) apportando correzioni da rendere il suo quadro diverso dalla fonte. Ogni cavaliere è chiamato da uno dei quattro esseri viventi, evidenziando così come tali forze sono sotto la giurisdizione del trono di Dio.
Il primo dei quattro esseri viventi è il Leone segno di autorità e di guida.

v. 2 E vidi: ecco, un cavallo bianco: il cavallo è simbolo di forza e mezzo di combattimento e di dominio. Il bianco è simbolo di purezza e di luce.
Il cavallo bianco potrebbe evocare l’esercito dei Parti[1] o addirittura l’Anticristo[2] poiché è colui che scimmiota Cristo, egli sarà vittorioso finchè il Signore non lo ucciderà.
Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona: l’arco simbolo di guerra evoca il giudizio divino ma si potrebbe riferire anche l’arcobaleno come segno di pace. Gli fu data, questa forma verbale al passivo indica un’azione compiuta da Dio con l’intento di sottolineare che tutti gli avvenimenti restano sotto il suo controllo. La corona è riconoscimento di vittoria al presente e al futuro.

v. 3-4 Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che diceva: «Vieni».Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco
Questa seconda apparizione simboleggia la guerra, il colore rosso, in Egitto e Babilonia, era dato all’omicidio quindi indica spargimento di sangue.
A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada.
La guerra e la spada sono simboli di morte. La spada grande ci dice con chiarezza che si tratta di grandi conflitti insanguinati. Lo sgozzarsi a vicenda fa pensare a guerre civili o alla loro stessa forza di  propulsione nel male.

v. 5 Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. Il terzo cavaliere segue il primo e il secondo e simboleggia le conseguenze di una guerra: la carestia e quindi  la morte. Il cavaliere ha in mano una bilancia per indicare il razionamento del cibo.

v. 6 E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d'orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati: La carestia non è grave, ma non è totale, il vino e l’olio non scarseggiano, anche se meno necessari per l’alimentazione. La situazione di carestia sarà tale che la paga giornaliera di un operario un denaro basterà appena per procuragli il pane.

v. 7-8 Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano.
La guerra e la fame provocano la morte. Il quarto cavaliere è verdastro o giallastro dal greco cloros verde pallido, fa pensare a un cadavere putrefatto.
Il termine greco Thanatos, morte significa anche morbo contagioso (peste). Lo seguono gli inferi o mondo dei morti, si può alludere alla seconda morte di coloro che non hanno posto fede nell’opera di Cristo.
Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra: Si ribadisce che il potere è sottomesso a Dio. La morte è limitata a un quarto dell’umanità che sarà sterminata da quattro tremendi castighi che troviamo anche in Ez. 14,21: la spada, la peste, la fame e le bestie selvatiche.

Apertura del quinto sigillo

9Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. 10E gridarono a gran voce:
«Fino a quando, Sovrano,
tu che sei santo e veritiero,
non farai giustizia
e non vendicherai il nostro sangue
contro gli abitanti della terra?».
11Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.


v. 9 Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. 
Con l’apertura la sala del trono di Dio si tramuta in un tempio celeste, in mezzo al quale si erge un altare[3] a cui piedi viene sparso il sangue dei sacrifici cruenti. Per questo Giovanni vede i martiri sgozzati come l’Agnello. Questi martiri sono quelli  passati attraverso la grande tribolazione (Ap. 7) e che non hanno accettato il marchio della Bestia (Ap. 20). Il motivo del martirio è la loro fedeltà alla Parola di Dio vissuta.

v.10 E gridarono a gran voce: Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?

Fino a quando: questa espressione tipica di molte lamentazioni dell’A.T., supplica l’intervento divino.
Non vendicherai: è preferibile il linguaggio di rivendicazione dei diritti lesi.
La richiesta dei martiri non è ispirata da sentimenti di vendetta ma dallo zelo della giustizia. Dio ristabilirà la giustizia calpestata dai persecutori. Questo grido di preghiera è un grido di speranza perché vinca la verità nel compimento del dominio di Dio. Il martirio dei fedeli è un aiuto al compimento della Chiesa, e accelera perciò l’ora della fine dei tempi.

v. 11 Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.
 La gioia dei martiri è simboleggiata dalla veste candida. E' la gioia del trionfo. Cristo è candido come la veste dei martiri che partecipano alla sua vittoria e che sono quindi protagonisti nella storia della salvezza.
il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli…: indica il numero degli eletti che moriranno martiri e che con i loro patimenti devono compiere “ciò che manca alle sofferenze di Cristo per la glorificazione del suo Corpo” (Col 1,24).




[1] L' Impero partico (247 a.C. – 224 d.C.), era una delle maggiori potenze politiche e culturali iraniche nell'antica Persia. L'impero partico, così chiamato dalla regione originaria della dinastia, la Partia, si estendeva su tutto l'Iran, l'Iraq, l'Armenia e su parte del Caucaso e dell'Asia Centrale. L'impero dei Parti costituì sempre una seria minaccia per l'Impero romano
[2] Egli avrà potere su tutti gli uomini che lo scambieranno per Gesù (ecco spiegata la sua somiglianza), egli si presenterà come un uomo di pace e di giustizia, farà segni e prodigi tanto grandi che neanche Gesù ha fatto quando era sulla Terra. Tutta l’umanità lo adorerà come Dio e Messia. Lui, dopo aver preso militarmente Gerusalemme, si insedierà nel Tempio di Dio e si proclamerà Dio. (2 Tessalonicesi 2). Per 42 mesi, l’anticristo vivrà a Gerusalemme nel Tempio ricostruito e da lì comanderà il mondo e si farà adorare. La Grande Tribolazione comincerà dal giorno in cui profanerà il Tempio (Zaccaria 14,1-2; Luca 21,20-24) e terminerà quando sarà costretto alla fuga, circa quarantacinque giorni prima il Ritorno di Gesù. (Daniele 9,27; Daniele 11,44;Daniele 12,12-13)
[3] Le grandi basiliche antiche sono state costruite sulle tombe dei martiri. Ed è per questo motivo che la liturgia prevede ancora oggi che all'interno dell'altare siano conservata le reliquie dei santi protettori della Chiesa. Qui i martiri si fanno portavoce di tutti i cristiani perseguitati

giovedì 7 febbraio 2013

Apocalisse 5,8-14


8 E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e cantavano un canto nuovo:
«Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
10e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra».
11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 12e dicevano a gran voce:
«L'Agnello, che è stato immolato,
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione».
13Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
14E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

v. 8 E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all'Agnello:
L’Agnello è autorizzato a prendere il libro ed aprire i sigilli, cioè a dare il via al processo finale della storia del mondo nel cui corso Dio assumerà per sé il suo dominio.
Inizia adesso una vera e propria liturgia cosmica a cui è invitata a unirsi la Chiesa con la sua liturgia terrena. Dal verbo prostrarsi si deduce che siamo di fronte ad una liturgia di adorazione. La redenzione è il vertice delpiano di Dio, perciò la natura e la storia si prostrano davanti al Cristo Risorto.
avendo ciascuno una cetra e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi: questa liturgia richiama quella del tempio di Gerusalemme. Il sacerdote offre l’incenso, i leviti cantavano accompagnati da strumenti a corda. Il profumo dell’incenso che sale è segno della preghiera dei santi, cioè di tutta la Chiesa.

v.9 cantavano un canto nuovo: nel testo greco il verbo cantare è al presente per significare un canto permanente, è nuovo perché si riferisce alla redenzione di Gesù che ci ha ottenuto una gloriosa liberazione. Ricorda il Cantico di Mosè in Es.15 dopo l’uscita dall’Egitto.

Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione

La salvezza operata da Gesù è destinata a tutta l’umanità e abbraccia tutti i tempi.

v.10 e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra: Cristo è venuto a dare inizio al regno di Dio, che è anche un regno concreto, con una dimensione visibile, umana; regno d'amore, inteso come dominio di Dio sul cuore degli uomini e, di conseguenza, sull'umanità intera. Giovanni non si riferisce qui ai sacerdoti ministeriali, ma ai sacerdoti comuni, cioè i battezzati. Siamo tutti re e regine secondo lo stile di Cristo, che è lo stile del servizio. Siamo re e sacerdoti che si mettono al servizio di Dio servendo l'umanità. Ben a ragione possiamo affermare di essere tutti dei "pontefici",cioè delle persone che costituiscono un ponte tra Dio e l'umanità, e di avere dignità regale e sacerdotale in quanto associati alla morte e alla resurrezione di Gesù attraverso il Battesimo.

v.11 E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia:

L’espressione miriadi di miriadi deriva da Dn. 7,10. L'adorazione, iniziata nella cerchia ristretta dei vegliardi e dei quattro esseri viventi, si estende a tutte le creature del cielo e della terra. Adesso tutto l'universo è chiamato alla venerazione. E si tratta di una bellissima lode cosmica espressa con una liturgia sia celeste che terrena.

v. 12 e dicevano a gran voce:
«L'Agnello, che è stato immolato,è degno di ricevere potenza e ricchezza,sapienza e forza,onore, gloria e benedizione».
L’ Agnello immolato è degno di ricevere:
1. la potenza: sulla mia vita, sulla chiesa, sul mondo, sull'universo;
2. le ricchezze: tutti i miei beni;
3. la sapienza: il meglio delle mie capacità intellettive;
4. la forza: la mia forza fisica per il suo servizio;
5. l'onore: un unico, puro desiderio di magnificarlo in tutte le mie vie;
6. la gloria: la mia intera vita consacrata alla sua glorificazione;
7. la lode: tutta la lode che posso rivolgergli.

v. 13 «A Colui che siede sul trono e all'Agnello lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
Il trono di Dio è anche il trono dell’Agnello, unica è l’adorazione rivolta ad entrambi. Lode, onore, gloria e potenza è una dossologia che troviamo nelle nostro liturgie.

v. 14 E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione: Il canto si conclude con il solenne “Amen” degli esseri viventi e con l’adorazione degli anziani. La lode sfocia nella contemplazione.